Chi è favorevole alla caccia grossa e ai trofei ricavati da tale pratica, ha sempre difeso questo mercato, tentando goffamente di giustificarlo, con una pretesa protezione delle specie più o meno in pericolo d’estinzione.

Il principale ragionamento sta nel fatto che portando nei paesi africani il turismo dei cacciatori, si riempiano le casse di queste nazioni con dollari sonanti che verrebbero poi impiegati per proteggere ambiente e animali dal degrado cui sono sottoposti e dalla falcidie dei bracconieri. Giustificazione risibile ovviamente, perché basta seguire sommariamente le vicende economiche e politiche di queste nazioni per capire che qualunque dollaro entri, finisce subito nelle mani di despoti e tiranni che, solo dopo una rivoluzione di popoli ormai allo stremo per fame e malattie, viene talvolta strappata dal trono su cui era seduta da tempo immemore, come avvenuto pochi giorni fa nello Zimbabwe di Mobutu. Lo stesso presidente americano Trump ha tentato, un paio di settimane fa, di abolire il divieto d’importazione di trofei di caccia voluto da Obama, da questi paesi, ma ha dovuto fare una rapida marcia indietro per le proteste che si sono levate nel mondo e anche tra i suoi parlamentari conservatori. Il fatto che ai suoi figli piaccia fare caccia grossa in Zimbabwe e Zambia non è stata reputata una motivazione valida per un provvedimento così sciagurato. Per fortuna.

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