«Caro Milo», scrive Eugenio. «Non ti preoccupare se non riesci a saltare. Anch’io non so fare tante cose. Per esempio non so andare sui pattini. Quando il mio babbo mi ha tolto le rotelle dalla bici andavo un po’ storto e cadevo sempre, poi ho imparato. Vedrai: se ci provi tante volte e non ti arrendi, alla fine riuscirai». E Anna: «Mi dispiace se sei triste per quello che ti ha detto il piccione, che porti sfiga perché sei nero. Non è vero, Milo, tu sei speciale: tanti bambini amano i gatti neri, col pelo lucido proprio come il tuo. Sai, anch’io ho una compagna un po’ speciale, e le voglio tanto bene. Non devi sentirti diverso: tutti noi abbiamo qualcosa che non è uguale agli altri, ed è proprio questo il bello».

Quindici mesi fa ho pubblicato un libro, Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare (Guanda), una favola d’integrazione sulla disabilità e il diverso partendo dal mio micetto nero, che a causa di una sindrome neurologica non riesce a saltare e cammina a zig-zag. E con grande entusiasmo – grazie a iniziative come Libriamoci e il Premio Buone Notizie, al Circolo dei Lettori di Torino e all’Università di Pavia, grazie inoltre e soprattutto alle maestre, perché nulla è possibile senza maestre dedicate – ho portato Milo e il nostro libro in giro per le scuole d’Italia, in un lunghissimo tour da Milano a Casal di Principe, da Tor Bella Monaca a Venezia. Migliaia di bambini hanno realizzato bellissimi disegni, pupazzetti, poesie e temi, lavori di gruppo, canzoni e rappresentazioni. In uno dei disegni che più mi hanno commossa (ma lo fanno quasi tutti, e non perché abbia la lacrima facile), Milo va dal veterinario, dopo che la sua mamma umana – io – si è accorta che qualcosa non va, e il referto della radiografia è «Speciale». «Sono strano o sono speciale?»: è questo il refrain di moltissimi lavori. È il bambino che lo chiede, che lo chiede di sé.

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